martedì 6 novembre 2012

"Iniziazione" (racconto)







Ricordo con nitidezza il giorno della mia iniziazione. Avevo 11 anni, mio padre, al quale ero molto affezionato, mi aveva portato con sé sui campi di caccia. Era solito farlo di frequente, io sparavo ai fagiani e alle lepri con una piccola carabina flobert illudendomi di averli colpiti. Lui e i suoi amici riempivano le auto di volatili morti che poi venivano donati alla polleria sotto casa. Quel giorno di novembre una nebbia pudica ricopriva le morbide colline del basso Piemonte. La battuta era stata memorabile: decine e decine di capi stavano appesi in bella mostra sullo steccato di fronte alla casa di caccia. Mentre gli adulti si profondevano nel rituale gioioso del pranzo e delle bevute, io mi defilai annoiato per esplorare il granaio vicino all’edificio padronale. Appena sulla soglia un gridolino femminile mi turbò e allo stesso tempo mi attrasse. Feci due passi avanti e incontrai lo sguardo delizioso di una ragazzina poco più grande di me.Era mora, gli occhi scuri guizzavano come pesci nella luce complice dell’autunno. Accanto a lei una ragazza più grande, sedicenne almeno, dal seno prosperoso e dalle movenze smaliziate, mora pure lei. Le due stavano disegnando un approssimativo nudo maschile sul pavimento di cemento. Le avevo colte nell’intimo. Trascorsero alcuni istanti di smarrimento, durante i quali i pensieri e le occhiate si sprecarono, poi la maggiore si mosse con calma verso di me e mi prese per mano. Mi fece sedere alla destra dell’amica e, a sua volta, si accovacciò alla mia sinistra. “Come ti chiami?” mi domandò con voce suadente accostando le labbra al mio orecchio. “M.” risposi io, timido ma tranquillo. Potete non crederci ma ero a mio agio, è innegabile. In mezzo a quei due corpi tiepidi ci stavo come sotto le coperte del letto di casa. Fuori faceva freddo, l’umido ti entrava sottopelle e non dava scampo.Un altro tipo di brivido mi colse quando la bocca della ragazza si riaccostò al padiglione; la strega aveva scatenato l’incantesimo. “Io mi chiamo Simona e lei è la mia compagna di giochi Alessandra.Vuoi giocare con noi?” domandò la strega con tono soffuso. Annuii. Le parole non sarebbero servite a nulla. Le due ragazze si guardarono negli occhi per un breve lunghissimo istante irrorando l’ambiente di segrete complicità. Simona si alzò e diresse a passo lento verso uno scaffale pieno di ragnatele che conteneva alcuni bottiglioni da vino vuoti. Ne prese uno e tornò a sedersi vicino a me. “Conosci il gioco della bottiglia, M.?” Feci cenno di no con la testa. Le parole non interessavano a nessuno. “Bene, mettetevi in cerchio” Ingiunse la strega con fermezza indiscutibile. Ci staccammo da quel caldo abbraccio a tre e prendemmo posizione uno di fronte all’altro. Avrei dovuto essere agitato, avrei dovuto sentire il cuore scoppiare in petto, avrei dovuto avere voglia di fuggire. Invece provavo una sorta di pacificazione, come se quel momento lo avessi già vissuto e non vedessi l’ora di viverlo nuovamente. La bottiglia girò, girò come gira la terra, come le lancette dell’orologio girano sul quadrante, come gira in eterno il tempo. Ed io vidi nel verde coccio rutilante i volti di incantevoli odalische, di meravigliose Salomé di carta, di incredibili danzatrici egizie... “M. tocca a noi due!” ruppe il sogno Simona. La scrutai,prigioniero del mistero che mi era misteriosamente noto. Simona avvicinò le sue labbra alle mie; chiusi gli occhi perché sapevo che era così che dovevo fare; percepii il tepore della sua bocca sulla mia, assaporai ogni dettaglio della sua lingua che separava le mie labbra, entrava e bagnava di saliva altra saliva. Udii il fruscio delle sue papille che sfioravano delicatamente le mie, poi con più forza e con più forza ancora...Mi abbandonai a un bacio cosmico, universale e mi accorsi che stavo baciando il destino mentre coglievo l’essenza della femminilità. In lei c’erano i baci di tutte le donne del mondo, di tutte le femmine che erano esistite fino a quel momento. Ad un certo punto Simona si scostò, con garbo, quasi con rammarico: I suoi occhi esprimevano stupore e dolcezza allo stesso tempo. “Ma...ma tu quanti anni hai?” mi chiese. Alzai le mani e mostrai le dieci dita, chiusi e aggiunsi il pollice. Le parole si erano perse in quel lungo bacio. “E’...come dire, strano. Baci come un...un...un uomo adulto.” Alessandra irruppe smaniosa. Chiedeva la sua parte. E così fu. La baciai a lungo, la mia lingua divenne padrona della sua bocca e lei cominciò a mugolare. Poi la bottiglia girò ancora una volta, poi un’altra e un’altra ancora. Ci baciammo di nuovo a turno, le baciai insieme, loro si baciarono tra loro. Era impossibile smettere. Una fluida magia si era impossessata di noi. Ad un certo punto Simona si tirò su il maglione e mi mostrò il seno, con un gesto così naturale che io mi chinai, suo schiavo, a baciarle i capezzoli. A quel punto la strega fece scivolare una mano sui miei calzoni da caccia di fustagno, tirò giù la cerniera e... Uno sparo seguito da un urlo agghiacciante fermò la sua mano, riverberò nel tempo. Mi precipitai sulla porta: uno dei cacciatori si era scaricato il fucile in un piede e ora giaceva per terra in una pozza di sangue, attorniato da mio padre e dagli altri amici. Con il cuore trepidante feci ritorno sui miei passi; ma l’interno dell’edificio era vuoto, delle due ninfette neanche l’ombra. Il bottiglione dei nostri odorosi giochi brillava sul cemento, unica traccia rimasta dell’evento meraviglioso che mi aveva rivelato a me stesso. Poi arrivò l’ambulanza, si portò via il malcapitato e il rituale buonumore dei cacciatori. Mio padre mi spinse a forza sulla sua Giulietta 1006 blu aviazione e tornammo a casa, entrambi abbacchiati e silenziosi per motivi differenti. I primi giorni dopo l’accaduto soffrii moltissimo. Mi ero innamorato e di tutte e due, della giovane e di quella più grande. In seguito, la benevola e incostante musa dell’adolescenza cancellò il bruciore. Mi rimase la fragrante prosopopea del ricordo. E l’inconscia certezza di aver trovato la mia strada. Non vidi mai più Simona e Alessandra. Dopo quella volta non tornammo in quella riserva di caccia; fu per scaramanzia, disse mio padre.Mesi dopo venni a sapere che Simona era la figlia del fattore incaricato di gestire la casa di caccia della tenuta e Alessandra la sua affezionata cuginetta.

Maurizio

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